Fin dall’antichità i putti sono stati utilizzati, nell’ambito delle arti figurative, come rappresentazione della figura infantile di eros o il mitologico dio dell’amore. Le designazioni “Eroti”, “Cupidi” e “Amorini” ricorrono nel lessico della critica d’arte come sinonimi di “putti alati. Esempi di tali raffigurazioni si trovano già in sculture e rilievi greci. In epoca romana i putti si svincolano dalla funzione esclusiva di eros/cupido e assumono un valore soprattutto decorativo, con scene di putti impegnati in scherzosi combattimenti, competizioni sportive, riti religiosi o in altre attività. Mentre con l’arte cristiana i putti alati diventano rappresentativi degli angeli. A partire dal Rinascimento, in particolare in connessione col successo di Donatello, che ne fa un ampio uso, i putti alati si moltiplicano nelle opere pittoriche e nelle sculture, soprattutto nella veste di suonatori di strumenti musicali. Nell’arte barocca i putti alati ricorrono con grande frequenza in chiave di “motivo decorativo” per altari, organi, cornici in stucco, affreschi e sculture. Dal punto di vista etimologico, la denominazione “putti” discende dal vocabolo latino “putus, puti”, che significa appunto “fanciullo”. L’introduzione della formula nel lessico dell’arte avviene ad opera del Vasari, che si avvale ripetutamente al vocabolo nelle sue Vite, cosicché il successo delle Vite contribuisce in maniera determinante a rendere vulgato il termine “putti.
Un esempio: putto con delfino di Andrea Verrocchio
Una scultura in bronzo alta circa 67 cm di Andrea Verrocchio, Palazzo Vecchio, Firenze.
Il celebre bronzo, citato per la prima volta come “il bambino di bronzo”, raffigura un fanciullo alato che, in bilico sopra una calotta sferica, stringe tra le braccia un pesce guizzante dalla cui bocca zampillava dell’acqua. E’ tra le opere più ammirate di Andrea del Verrocchio il quale si è ispirato a modelli di epoca greco-romana e ai numerosi putti di Donatello e della sua cerchia. La datazione dell’opera è frutto di discussioni tra gli studiosi ed oscilla tra il 1465-1468 l’ipotesi più accreditata è quella legata al 1470, considerata quindi un’opera tarda di Verrocchio per la straordinaria capacità di rappresentare una figura in movimento nello spazio e infonderle vitalità e naturalezza. A commissionarla era stato Lorenzo de Medici detto il Magnifico, per una fontana alla villa di Careggi. Si trattava forse della fontana dell’Amore, ai bordi della quale si poteva riunire l’Accademia neoplatonica nei mesi estivi. Nel 1959 l’opera venne messa al riparo all’interno di Palazzo Vecchio al secondo piano, sostituendola con una copia in bronzo di Bruno Bearzi. Dell’opera si conosce anche una derivazione in terracotta probabilmente di mano dello stesso Verrocchio, oggi in una collezione privata.
Anche l’artista Octavio Palomino del Geko Art Studio si è lasciato ispirare dall’iconologia classica del putto con delfino per la creazione della sua statua Borgo Marina. L’opera realizzata in argilla verrà presto riprodotta in bronzo attraverso la tecnica della cera persa. Tale opera prende spunto da un altro esempio di statua di putto con delfino che troviamo nella fontana di San Benedetto del Tronto in provincia di Ascoli Piceno nelle Marche. La fontana si trova in piazza Matteotti ed è contraddistinta da un getto d’acqua al centro, con ai lati quattro putti con delfini fatti arrivare direttamente da Parigi. Il manufatto, di grande valore culturale e affettivo per la città, è stata inaugurato nell’agosto del 1873. Ripristinata nel 1984 dopo la demolizione del 1933.